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“Alberto, cosa c’hai lì? Cosa stai buttando? E’ un manichino? Dallo a me, così lo rivendo”.

Sembra l’incipit di un romanzo noir, ma è cruda, orrenda realtà. A porre le domande a un vicino di casa è un inquilino che abita di fronte al civico 15 di via Sardegna, nel quartiere San Leone, zona del Corso Indipendenza di Catania. E’ un rigattiere, con le sue Ape Piaggio si guadagna da vivere raccogliendo quel che per la gente è ormai roba da buttare e che, invece, potrebbe avere ancora un mercato.

Così, quando vede quel 36enne che conosce bene trascinare a fatica un mobile con un braccio che penzola all’esterno, non immagina che possa trattarsi di un cadavere, di essere il testimone dell’orrore.

E’ il braccio senza vita di Gaetano Italia, quello che accusa il suo, presunto, assassino, il figlio Alberto. E’ il braccio dell’anziano 81enne che si libera dallo squinternato mobiletto, questo,

dove si presume che uno dei figli, il maggiore, abbia cercato di nasconderlo dopo averlo massacrato colpendolo al volto con calci, pugni e un oggetto pesante, forse un martello, lo stesso poi usato per inchiodare le assi. “Poverino, era irriconoscibile – ci dice uno degli abitanti del quartiere che ha visto la salma quando è giunta la Scientifica della Questura di Catania – il volto era una poltiglia”.

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Un omicidio efferato, dalle modalità agghiaccianti. Quando il figlio della vittima è stato sorpreso, intorno alle 13, col macabro, pesante fardello, il cadavere era avvolto in un tappeto, quello dal quale è poi rotolato, restando a pancia in su, le braccia abbandonate ai lati come se fosse sulla croce, la maschera di sangue rivolta a un cielo che non poteva più vedere.

Esattamente è stato abbandonato qui,

dove una folla rabbiosa si è improvvisamente radunata e ha cercato di farsi giustizia da sola, ma è stata bloccata dalla polizia appena giunta in tempo per salvare da un linciaggio quel figlio che, insieme con il fratello minore, già conoscevano, poiché entrambi pregiudicati.

E gli abitanti del quartiere li conoscevano ancora meglio, da quando una ventina d’anni fa la famiglia Italia si è trasferita qui.

al primo piano della palazzina dove “Ogni sera sentivamo i figli, soprattutto quello maggiore, litigare violentemente coi genitori – ci raccontano – che picchiavano sistematicamente. Una marea di volte abbiamo visto arrivare la polizia per le denunce del padre, che non ne poteva più di essere aggredito insieme con la moglie, con quella povera madre malata di Alzheimer della quale non avevano pietà. In una occasione i carabinieri sono stati minacciati col dobermann dal figlio maggiore e non sono riusciti a entrare in casa”.

Tant’è che Alberto Italia aveva un divieto di avvicinamento alla famiglia emesso dal Gip su richiesta della Procura.

“Anche ieri sera – ci dice un altro – è stato così. Abbiamo sentito urla, colpi di martello, come se si stesse inchiodando qualcosa con rabbia in piena notte”.

Oltre al presunto assassino, sono diverse le persone accompagnate in Questura per fare piena luce sul caso con le testimonianze. Anche il fratello, che non sarebbe, per ora, sospettato, forse anche per quanto appreso dai racconti di chi ha visto quanto avvenuto all’esterno della casa. “Io – ci dice un vicino di casa che ha visto l’uomo alle prese con il mobile con all’interno il corpo del padre – ho visto il figlio maggiore mentre trascinava a fatica un mobile. Era solo, non c’era il fratello con lui. Per un attimo ho pensato di dargli una mano, poi, visto di chi si trattava, mi sono fatto gli affari miei, non meritava il mio aiuto”.

Perché parlando con la gente del quartiere, anche con alcuni di quelli che hanno cercato di vendicare subito il povero anziano, emerge un odio viscerale per quei fratelli “Che non sono nati qui, ma sono giunti dopo e hanno portato solo problemi. E episodi disgustosi”.

Ne raccontano alcuni: “Quello che stava portando via il cadavere del padre una volta ha attaccato a una catena il dobermann e gli ha spento le sigarette addosso, totalmente ubriaco. O fatto di droga. Un’altra, completamente nudo, si è lanciato dalla finestra del primo piano con un ombrello… Eppoi, sempre col dobermann, dava fastidio alle donne del quartiere, aizzando il cane contro per farle spaventare. E’ stato più volte picchiato dagli uomini del qaurtiere per rimetterlo in riga, per fargliela smettere, ma non è servito. Tornava a casa e se la prendeva coi genitori”.

E se fosse lui l’assassino, il movente potrebbe essere quello dei soldi: “Non lavorano – ci rivelano – e sfruttavano le pensioni dei genitori. Secondo noi il piano consisteva nell’eliminare il padre per rubargli quella pensione che lui non voleva più farsi bruciare da quei parassiti”.

Se sono voci di quartiere, saranno gli inquirenti a stabilirlo. Intanto, la donna è ricoverata in ospedale. Anche i cani (oltre al dobermann, i due fratelli possedevano un San Bernardo) sono stati portati via dalla casa maledetta. Il 39enne, arrestato mentre cercava di fuggire è accusato di omicidio e occultamento di cadavere. Interrogato dal Pm Martina Nunziata Bonfiglio alla presenza del suo legale di fiducia si è avvalso della facoltà di non rispondere.

 

 

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