Due presunti affiliati al gruppo Rapisarda del Clan Laudani, operativo a Paternò, Antonino Barbagallo, di 43 anni, e Samuele Cannavò, di 22, entrambi attualmente detenuti, sono accusati di essere gli autori dell’omicidio di Emanuele Pasquale Di Cavolo, di 35 anni, gravitante nello stesso clan, il cui cadavere fu trovato a Ramacca il 20 gennaio del 2018. Di Cavolo sarebbe stato ucciso perché ritenuto inaffidabile per la sua abitudine di “parlare troppo” e di mettere in giro voci denigratorie nei confronti di altri affiliati.

Ai due indagati i carabinieri hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip su richiesta della Dda etnea per concorso in omicidio, porto e detenzione illegale di arma comune da sparo con l’aggravante di aver agito con premeditazione e con crudeltà e di aver commesso il fatto al fine di agevolare e rafforzare il clan. La misura cautelare costituisce lo sviluppo di indagini avviate dopo l’omicidio e che hanno trovato riscontro durante le indagini riguardanti l’operazione ‘En plein air 2’ contro il gruppo Laudani. Durante queste ultime indagini erano emersi assidui rapporti di frequentazione tra la vittima ed alcuni esponenti del clan Laudani, tra i quali Barbagallo e Cannavò. Secondo quanto accertato, poco prima dell’omicidio gli altri affiliati avrebbero manifestato malumori per la condotta del Di Cavolo, ritenuto “inaffidabile”.

Per Barbagallo e Cannavò c’è anche l’aggravante della premeditazione. Si sarebbero accaniti sul corpo della vittima con colpi di pietra rendendolo irriconoscibile. Indagini balistiche hanno accertato che la pistola utilizzata per l’omicidio era già stata utilizzata in un tentativo rapina compiuto il 30 dicembre del 2017 ai danni dei titolari di un distributore di carburante di Paternò, reato per il quale Cannavò è attualmente sotto processo.

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