Due milioni di mucche, maiali, pecore e capre sono scomparsi dalle fattorie italiane negli ultimi dieci anni anche per effetto del riscaldamento globale che ha inaridito i pascoli, ridotto la disponibilità di foraggio, tagliato la produzione di latte e aumentato i costi per garantire il benessere degli animali in condizioni climatiche più difficili.

È quanto emerge dal rapporto Coldiretti “Sos Clima per l’agricoltura italiana”. “Fattoria Italia – rivela la Coldiretti – nell’ultimo decennio ha perso solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore, agnelli e capre, oltre a 600mila maiali e più di 100mila bovini e bufale. Un addio che ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori”.

Con gli animali, secondo l’analisi Coldiretti su dati Ispra, sono scomparsi anche i pascoli e i prati e il risultato è che negli ultimi 25 anni è andato perso oltre un quarto della superficie agricola (-28%) e con esso la capacità di assorbire le emissioni inquinanti. A causa del consumo di suolo agricolo si perde ogni anno la possibilità di assorbire quasi 300mila tonnellate di carbonio.

L’addio ai terreni causa poi l’infiltrazione di milioni di metri cubi di acqua di pioggia che, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde aggravando la pericolosità idraulica del territorio. Con la chiusura delle stalle cala pure la produzione di letame e liquami indispensabili per fertilizzare i terreni e alla base dell’agricoltura biologica.

In pericolo c’è poi la biodiversità delle stalle italiane dove sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate tra le quali ben 38 di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini.

Ettore Prandini, presidente Coldiretti, sottolinea la necessità di “creare le condizioni affinché si contrasti la scomparsa delle campagne, garantendo un giusto reddito agli agricoltori e valorizzandone il ruolo ambientale, anche attraverso la nuova legge sul consumo di suolo, approvata da un ramo del Parlamento nella scorsa legislatura ma finita su un binario morto in attesa della discussione in Senato. Dobbiamo togliere dalla palude questa norma importante per il futuro dell’Italia e vararla prima possibile”.

Negli ultimi 20 anni in Italia, inoltre, è sparita quasi una pianta da frutto su quattro fra mele, pere, pesche, arance, albicocche, con grave danno produttivo e ambientale.

Il “frutteto italiano”, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat, ha visto un crollo netto del 23% in un ventennio. Il taglio maggiore ha interessato pesche e nettarine con la superficie quasi dimezzata (-38%), seguiti da uva da tavola (-35%), pere (-34%), limoni (-27%), arance (-23%), mele (-17%), clementine e mandarini (-3%).

Il danno, sottolineano i coltivatori, non è solo economico e occupazionale ma colpisce pure l’ambiente perché con la scomparsa dei frutteti viene a mancare il ruolo di contrasto dell’inquinamento e del cambiamento climatico svolto dalle piante, capaci di ripulire l’aria da migliaia di chili di CO2 e polveri pm10.

Un ettaro di frutteto in produzione, spiega la Coldiretti, “è in grado di catturare 20mila chili di CO2 all’anno, bloccando le polveri Pm10 e abbassando la temperatura dell’ambiente circostante durante le estati più calde e afose. “Un conto salato per un’agricoltura che ha già perso negli ultimi dieci anni ben 14 miliardi di euro tra danni alla produzione agricola nazionale e alle infrastrutture a causa delle anomalie del clima con una tendenza alla tropicalizzazione”.

“Mettere più frutta italiana nelle bibite per far tornare conveniente piantare alberi nel nostro Paese sarebbe la vera svolta green che aiuta l’ambiente, la salute e l’economia e l’occupazione Made in Italy –  afferma Ettore Prandini – mentre si continua a tollerare la presenza nelle bevande analcoliche di appena il 12% di frutta senza neanche l’obbligo di indicarne la provenienza, con un inganno per i consumatori e un danno per i produttori.

“Occorre dire basta alle aranciate senza arance e impegnarsi concretamente – conclude Prandini – nell’educazione alimentare a partire dalle scuole anche con l’aiuto dei nuovi distributori automatici di snack dove acquistare frutta fresca, disidratata o spremute al 100% italiane”.

Dalla cimice asiatica al batterio della Xylella, l’invasione di insetti e organismi “alieni” portati nelle campagne italiane da cambiamenti climatici e globalizzazione degli scambi ha causato danni per oltre mezzo miliardo nell’ultimo anno con effetti “gravissimi”.  L’ultimo arrivato, proveniente dalla Cina, “è la ‘cimice marmorata asiatica’ – spiega Coldiretti – particolarmente pericolosa per l’agricoltura perché prolifica con il deposito delle uova almeno due volte all’anno con 300-400 esemplari alla volta. A favorirne la diffusione è stato un anno particolarmente caldo”. Questo insetto ha decimato i raccolti, distruggendo meli, peri, kiwi, ma anche peschi, ciliegi, albicocchi e piante da vivai “con danni alle produzioni ed un pesante impatto occupazionale”.

Un “autentico flagello”, sottolineano i coltivatori italiani, è il batterio della Xylella che ha devastato gli uliveti del Salento “dove quest’anno sono andate perse quasi 3 olive su 4 in provincia di Lecce con il crollo del 73% della produzione di olio di oliva che non sarà certamente recuperata nell’annata 2019-2020”.

“Dall’autunno 2013, anno in cui è stata accertata su un appezzamento di olivo a Gallipoli, la malattia – continua Coldiretti – si è estesa senza che venisse applicata una strategia efficace per fermare il contagio che, dopo aver fatto seccare gli ulivi leccesi, ha intaccato il patrimonio olivicolo di Brindisi e Taranto, arrivando pericolosamente a Monopoli, in provincia di Bari”.

Altri danni li stanno facendo la ‘Drosophila suzukii’, il moscerino killer che ha attaccato ciliegie, mirtilli e uva in Veneto, ma anche il ‘Dryocosmus kuriphilus’, insetto che attacca i castagni. Calabrone asiatico e colettero africano stanno invece mettendo a repentaglio la produzione di miele. Il punteruolo rosso ha fatto strage di palme dalla Sicilia alla Liguria.

 

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