Ai domiciliari nella sua abitazione sull’isola di Favignana dallo scorso 13 agosto, continuava ad agire così come meglio reputava, infischiandosene dei divieti, delle prescrizione, come se non fosse un detenuto.

Vito D’Angelo baciava, accoglieva, intratteneva rapporti, senza manifestare particolari problemi di salute. E dire che mentre era rinchiuso nel Pagliarelli di Palermo, gli erano stati concessi i domiciliari perché le sue condizioni erano state ritenute incompatibili col regime carcerario.

Durante l’operazione Scrigno dello scorso 5 marzo, i carabinieri di Trapani hanno arrestato 26 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, scambio elettorale politico mafioso, estorsione, danneggiamento seguito da incendio e altro: tutti reati aggravati dal metodo mafioso.

Fra gli arrestati, il 71enne Vito D’Angelo, considerato il vertice della filiale di Cosa Nostra sull’isola di Favignana; ruolo, il suo, documentato, per la prima volta, proprio nel corso delle indagini che hanno caratterizzato l’operazione Scrigno.

Una volta ottenuti i domiciliari, l’anziano boss, secondo quanto scoperto dai militari che, nel frattempo, hanno tenuto sotto controllo la sua condotta, ha manifestato una salute di ferro e ha ricominciato a trasgredire il divieto di comunicare, incontrando più volte soggetti che, a loro volta, così come emerso durante l’operazione Scrigno, si erano interfacciati con altri arrestati, Francesco Virga e Francesco Peralta, entrambi sottoposti al carcere duro.

Insomma, D’Angelo, oltre ad essere perfettamente autosufficiente, era ancora il punto di riferimento della mafia trapanese sull’isola. Ecco perché è stato rinchiuso nuovamente nel carcere palermitano.

 

 

 

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