1 elefante, 4 tigri, diversi rettili. Sorpresi dall’emergenza Coronavirus, obbligati a rimanere sospesi coi loro compagni d’avventura, gli artisti del Circo Orfei costretti a rimanere in Sicilia, dove erano approdati per il tour che è stato traumaticamente bloccato.

Una realtà che non emerge così come altre, ma che esiste, eccome, e che soffre, eccome.

Perché da quando è stato imposto il blocco di tutte le attività, anche quelle circensi sono state investite dal dramma dell’improvviso svanimento dei profitti.

“Purtroppo è così – ci dice Riccardo Gravina, il presentatore degli spettacoli, una delle anime dello storico circo della grande famiglia circense italiana – abbiamo dovuto sospendere gli spettacoli proprio alla vigilia di quelli che erano in programma a Santa Teresa di Riva, dove, quindi, ci troviamo tutt’ora”.

Nel centro in provincia di Messina si trovano la maggior parte degli artisti della compagnia, insieme con gli animali. Il resto si trova a Biancavilla, nel territorio etneo.

Compresi i componenti di ogni nucleo familiare, sono 120 le persone che in Sicilia condividono l’ansia per un presente duro e un futuro incerto.

Grazie all’intervento della Coldiretti e degli agricoltori siciliani gli animali fortunatamente non stanno patendo alcun disagio. “Assolutamente no – conferma Gravina – Il cibo non è mai mancato, i nostri animali stanno benissimo grazie alla solidarietà dei siciliani”.

Ed anche per gli artisti e le loro famiglie il cuore della Sicilia ha fatto la sua, egregia, parte. “Dobbiamo ringraziare il sindaco di Santa Teresa di Riva e tutti i privati che ci stanno aiutando, fornendoci i beni di prima necessità di cui abbiamo bisogno. Come si sa, noi viviamo di sbigliettamento, gli spettacoli sono la nostra unica fonte di guadagno. Da inizio marzo siamo fermi”.

E abbandonati, aggiungiamo noi.

Perché degli aiuti previsti dal Governo per fronteggiare la crisi economica loro non hanno visto nemmeno l’ombra.

“Noi siamo una categoria professionale particolare – ci spiega Gravina – siamo stati inseriti nella categoria dell’artigianato e dovremmo avere diritto alla cassa integrazione. Ma la nostra commercialista ci ha detto che nulla è stato avviato per noi, nessun centesimo di contributo è stato versato. Dobbiamo, ci tengo a ribadirlo, ringraziare solo la generosità di chi spontaneamente si è subito prodigato comprendendo l’enorme difficoltà in cui pure noi siamo precipitati”.

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