Gli equilibri e le lotte di potere all’interno del  mandamento mafioso Tommaso Natale di Palermo, la gestione dell’aggressività di alcuni esponenti e la ramificazione del sistema estorsivo e la nuova aggressività.

E’ quanto scoperchiato dall’indagine “Bivio” condotta dalla Nucleo investigativo dei Carabinieri di Palermo e coordinata dal procuratore Lo Voi che ha portato a 16 arresti, tra i quali spicca quello dello storico capomafia Giulio Caporrimo, che era tornato in libertà nel maggio 2019 dopo lunga detenzione.

Nel corso dell’inchiesta le forze dell’ordine hanno acclarato una fase di grandi contrasti nei rapporti interni alle “famiglie” di Tommaso Natale, Partanna Mondello e ZEN – Pallavicino. A provocarli proprio il ritorno in libertà di Caporrimo che una volta scarcerato ha dovuto fare i conti con la nuova leadership di Francesco Palumeri, portavoce e vice del boss Calogero Lo Piccolo, in sua assenza asceso al vertice del clan dopo la riorganizzazione dovuta agli arresti dell’inchiesta Cupola 2.0.

 

Uno status quo non accettato da Caporrimo, che avrebbe preso dapprima le distanze, trasferendosi a Firenze, che lo ha spinto a contestare le decisioni dei nuovi vertici. Nell’aprile scorso Caporrimo torna a Palermo, riuscendo in poco tempo a riprendersi il potere sul mandamento, anche grazie all’appoggio degli alleati nel territorio, Antonio Vitamia, capo della famiglia di Tommaso Natale, Franco Adelifio, uomo d’onore di Partanna Mondello e Giuseppe Cusimano, ai vertici della famiglia Zen/Pallavicino, tutti arrestati nell’operazione.

Cusimano, in particolare, aveva fatto parlare di sé durante il lockdown della scorsa primavera, quando aveva provato ad organizzare una distribuzione alimentare per i poveri nel tentativo di accreditarsi come referente in grado di fornire aiuti alla popolazione. Proprio al clan gestito da quest’ultimo erano legati alcuni dei problemi “interni” del sistema mafioso palermitano. L’ingestibile “esuberanza” di alcuni suoi esponenti era sfociata, nel settembre scorso, in un duello a colpi di arma da fuoco nel quartiere ZEN tra due bande. Episodio che ha indotto i vertici mafiosi a progettare l’eliminazione di alcuni soggetti non controllabili, scongiurata solo dall’intervento delle forze dell’ordine.

Sullo sfondo anche la gestione del pizzo sui commercianti di Palermo. L’inchiesta ha ricostruito 13 estorsioni aggravate, dieci compiute e 3 tentate e due danneggiamenti tramite incendio. Episodi che hanno spinto cinque imprenditori vittime a scegliere la via della denuncia. Verso un’evoluzione violenta anche la pianificazione delle rapine a portavalori e distributori di benzina. La famgilia dello ZEN le stava pianificando con il supporto di armi da guerra ed esplosivi al plastico. Nel mirino ,in particolare, un portavalori di una società di vigilanza, il cui denaro avrebbe sostentato gli affiliati liberi ed in carcere.

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