Adesso bisogna porsi delle domande serie, serissime. Adesso bisogna trovare delle soluzioni serie, serissime. Perché non è più l’eccezione, l’atto di un disperato solitario. Catania è sempre più una tendopoli. Micro ghetti affiorano spontaneamente ormai ovunque. Nessuna zona è esclusa. Soprattutto quelle del centro, dove la quotidianità scorre accanto a vite trasparenti, accanto a fantasmi dei nostri tempi.
Le immagini si riferiscono, poi, a quel che non ti aspetteresti lì, proprio lì, dove a due passi c’è la sede del comando provinciale dei carabinieri, dove c’è piazza Giovanni Verga, quella su cui si affaccia il Palazzo di Giustizia.
Una tenda, messa su sotto i portici di via Aloi, dove un tempo, fra gli Anni 80 e i 90 nasceva la Catania dei paninari, di quel fenomeno sociale fatto di slang, il monfiano per quanto riguarda il capoluogo etneo, di capi e accessori rigorosamente griffatissimi, di giovani che con Monclair e Timberland d’ordinanza ingurgitavano hot dog con keckup imitando mode a Stelle e Strisce.
Quell’epoca è scomparsa, così come i locali che la accoglievano. E la pandemia ha fatto fallire anche attività di ristorazione recenti. Uno scenario desolante, dove affioria la tenda di una senzatetto, cartoni e carcasse di scooter come mobilio.
Bisogna porsi delle domande, per aiutare chi ha bisogno e per aiutare la città a guardarsi allo specchio.

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