Più di 200 uomini della Squadra Mobile di Palermo, del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e del Federal Bureau of Investigation  di New York hanno eseguito arresti e fermi, disposti dalla Dda del capoluogo siciliano, di boss e gregari del mandamento mafioso di Passo di Rigano .

Il blitz, denominato “New connection”, ha svelato il forte legame tra Cosa Nostra palermitana e la criminalità organizzata statunitense, in particolare il potente Gambino Crime Family di New York.

Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori aggravato, concorrenza sleale aggravata dal metodo mafioso. L’inchiesta, coordinata dalla Dda guidata dal procuratore Francesco Lo Voi, ha fatto emergere anche la forte capacità pervasiva, da parte della famiglia mafiosa di Passo di Rigano, sull’economia del quartiere. Ciascun uomo d’onore, nel clan, aveva un ruolo e una mansione specifica nella gestione degli affari. Nel mandamento, inoltre, ogni attività economica – dalla fornitura alimentare, all’ingrosso, alla gestione dei giochi e delle scommesse online – era controllata dalla mafia che gestiva anche il racket delle estorsioni.

Nel quartiere di Passo di Rigano avevano ricostituito la loro roccaforte importanti esponenti della famiglia mafiosa degli Inzerillo, una storica cellula criminale palermitana decimata dal capomafia Totò Riina negli  anni ’80, durante la seconda guerra di mafia. E’ uno dei particolari dell’inchiesta della Dda di Palermo che oggi ha portato ad arresti e fermi.

Gli esponenti della famiglia Inzerillo, costretti a rifugiarsi negli Usa, rientrati in Italia nei primi anni 2000, avevano ricostituito le fila della ‘famiglia’, anche grazie al ritrovato equilibrio con i vecchi nemici.

Sequestrati beni per oltre 3 milioni tra mobili, immobili e quote societarie. Tra i 19 arrestati nel blitz antimafia tra Sicilia e Usa c’è anche un sindaco. Si tratta di Salvatore Gambino, primo cittadino di Torretta, un paese della provincia di Palermo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Parlando con un altro mafioso residente in America, Tommaso Inzerillo, esponente della storica famiglia, oggi arrestato, ricordava la fuga negli Usa. Fuga da cui poi derivò il soprannome di “scappati” dato agli esponenti della sua famiglia.

“Il divieto era da allora, come ti stavo dicendo, è una situazione di mio cugino, che alcuni se ne stanno andando in America… Altri, per dirti che qua c’è, siamo tutti bloccati, siamo grandi. Ora vediamo, ora con questa morte (si riferisce a quella di Totò Riina, ndr)… Lo vedi se Dio ce ne scampi fosse morto mio cugino e Stefano (Bontade, ndr) restava vivo”. Il riferimento è alla possibile vendetta che Bontade, capomafia di Villagrazia trucidato da Riina, avrebbe messo in atto se fosse rimasto vivo. “Quello, vedi che li azzerava”, risponde l’interlocutore. “Minchia… Mamà… Cento picciotti… Centoventi erano con lui”, commenta Inzerillo. La grande “mattanza” fece mille morti di cui 300 lupare bianche. Venne chiamata la seconda guerra di mafia. Erano gli anni ’80, gli anni in cui la mafia dei “viddani” corleonesi di Totò Riina conquistò Palermo col sangue. Caddero tutti i nemici: da Stefano Bontade a Totuccio, Pietro e Antonio Inzerillo. Di pari passo con la scalata al potere mafioso, Riina lanciò la sua sfida allo Stato e agli uomini delle istituzioni che rappresentavano una minaccia per Cosa nostra. I superstiti del clan Inzerillo, che avevano nel quartiere di Passo di Rigano la loro storica roccaforte, furono messi al bando dalla Commissione provinciale di Cosa Nostra e cercarono scampo negli Stati Uniti, sotto l’ala protettiva dei mafiosi Gambino. Vecchie storie che tornano nel blitz della Dda che oggi ha portato all’arresto di 19 persone tra cui esponenti delle famiglie Inzerillo e Gambino. Anni di ‘esilio’ e poi il tentativo di tornare in Sicilia grazie alla mediazione del boss Salvatore Lo Piccolo che cercò di perorare la causa degli ‘scappati’ riammettendoli negli affari dei boss palermitani, in particolare nel traffico di droga. Un ritorno osteggiato dal capomafia Nino Rotolo “fedele” al diktat di Riina. Della questione delicata venne investito anche il padrino Bernardo Provenzano che non prese mai una posizione netta. Di sicuro gli “scappati”, alla spicciolata, a partire dai primi anni 2000 sono tornati e hanno ripreso i contatti con la mafia siciliana. Francesco Inzerillo, soprannominato “Franco ‘u truttaturi” e Tommaso Inzerillo, forti di un tesoro accumulato, entrambi arrestati oggi, si erano ripresi il potere. E dialogavano coi vecchi nemici: come Settimo Mineo, fedelissimo di quel Rotolo pronto alla guerra pur di tenere gli scappati lontano dalla Sicilia finito in cella mesi fa nel tentativo di ricostituire la Cupola di Cosa nostra. Rotolo era una furia: “Questi Inzerillo erano bambini e poi sono cresciuti, questi ora hanno trent’anni. Come possiamo, noi, stare sereni… Se ne devono andare. Devono starsene in America. Si devono rivolgere a Saruzzo (Naimo) e se vengono in Italia li ammazziamo tutti”. Gli scappati, invece, avevano un potente alleato: Salvatore Lo Piccolo, il barone di San Lorenzo. Rotolo non riuscirà a tirare dalla sua parte Provenzano, che prendeva tempo e cercava di mediare: “Ormai di quelli che hanno deciso queste cose non c’è più nessuno – scriveva nelle sue lettere – a decidere siamo rimasti io, tu e Lo Piccolo”. La verità è che i soldi degli Inzerillo facevano e fanno gola. Soldi a palate accumulati grazie agli affari con le famiglie americane Gambino e i Calì. Per toccare con mano cosa accadeva oltreoceano, su volere di Provenzano, partirono Nicola Mandalà, del clan bagherese che proteggeva la latitanza del padrino, e Gianni Nicchi, enfant prodige della mafia palermitana e figlioccio di Rotolo (sarebbe stato arrestato anni dopo dopo una breve latitanza).

Ora i nuovi incontri con Settimo Mineo, il capomafia di Pagliarelli e “presidente” della nuova Cupola che si è riunita lo scorso maggio prima di essere decapitata dai carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo. Mineo, un rotoliano di ferro che, però, ha smesso di odiare gli scappati.

 

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