Sequestrate preventivamente numerose aziende nel settore del riciclo plastiche su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catania.

Le indagini degli investigatori delle squadre mobili di Ragusa e Catania, coordinati dal Servizio Centrale Operativo, hanno permesso di disarticolare un’associazione per delinquere, di stampo mafioso, denominata “stidda”, finalizzata al traffico illecito di rifiuti aggravato.

Tra i reati contestati rientrano l’estorsione pluriaggravata, l’illecita concorrenza con minaccia, le lesioni aggravate, la ricettazione, la detenzione ed il porto di armi da sparo ed il danneggiamento seguito da incendio.

Tra i 15 arrestati vi è Claudio Carbonaro di Vittoria reo confesso di omicidi, poi collaboratore di giustizia e tornato in libertà 4 anni fa alla fine del programma di protezione. Carbonaro, secondo l’accusa, stava riorganizzando il clan con un ‘taglio’ diverso, meno sanguinario e più imprenditoriale puntando sullo smaltimento della plastica delle serre. Salvatore D’Agosta di 53 anni, Giuseppe Ingala di 36 anni, Antonino Minardi di 45 anni, Crocifisso Minardi di 53 anni, Emanuele Minardi di 49 anni, Salvatore Minardi di 45 anni, Giovanni Tonghi di 38 anni, Giovanni Donzelli di 71 anni e Raffaele Donzelli di 46 anni, tutti di Vittoria. Agli arresti domiciliari invece vi sono Gaetano Tonghi di 37 anni, Giovanni Longo di 55 anni (originario di Acate), Andrea Marcellino di 35 anni (originario di Siracusa), Salvatore Minardi di 25 anni e Francesco Farruggia di 42 anni di Vittoria

Le indagini, delegate dalla Procura Distrettuale di Catania, erano scattate nel 2014 in seguito ad un sequestro, operato a Roma dalla Squadra Mobile, di calzature contenenti materiali nocivi per la salute. Era stata ipotizzata dagli investigatori l’esistenza di un’organizzazione dedita al traffico di rifiuti plastici, acquisiti da imprese di raccolta e stoccaggio aventi sede nelle province di Ragusa e Catania ed esportati in Cina. Qui venivano utilizzati per la fabbricazione di scarpe, poi importate in Italia e commercializzate pur contenendo, per i magistrati, sostanze tossiche.

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